
Travagliata fin dalla sua comparsa, la Sindrome di alienazione genitoriale (o Pas, dall’acronimo di Parental alienation syndrome) è una controversa e ipotetica dinamica psicologica disfunzionale non riconosciuta a livello scientifico in quanto priva di presupposti clinici, di validità e affidabilità che, secondo le teorie del discusso psichiatra statunitense Richard Gardner, si attiverebbe in alcune situazioni di separazione e divorzio conflittuali, non adeguatamente mediate.
Fin dagli anni 80 i movimenti femminili l’hanno considerata uno strumento pericoloso nelle mani degli uomini in grado di deviare l’attenzione da loro atteggiamenti di abuso o trascuratezza. Vi sono però state anche forti pressioni in Usa affinché la Pas venisse inclusa tra le patologie psichiche, consentendo in tal modo il trattamento del minore che così verrebbe riavvicinato al genitore «alienato».
Allo stato attuale il DSM 4 TR (manuale diagnostico e statistico di disturbi mentali) non riconosce la Pas come sindrome o malattia, nè tale inclusione è prevista nell’edizione in uscita nel maggio 2013. Questo a causa della mancanza di dati a sostegno e di evidente ascientificità segnalata fin dal 1996 dalla Società americana di psichiatria. Il dibattito e le pressioni sono state vivaci anche in questi ultimi anni con la presa di posizione dello psichiatra W. Bernet, ma anche in questo caso la Pas non è stata inclusa tra le psicopatologie riconosciute. Questa diatriba fin dall’inizio ha avuto importanti riflessi sull’affidamento dei minori soprattutto negli Usa.
Il suo riconoscimento giudiziale è spesso stato considerato come rovinoso per i figli e tutti i tribunali che hanno vagliato la Pas al test di Frye (che rende ammissibile una teoria qualora accettata e consolidata) l’hanno rigettata. Queste tesi sono quindi soprattutto sostenute da alcune aree psicologiche, mentre la Società italiana di psichiatria non riconosce questo disturbo come una patologia.
La Pas non essendo basata su studi fondati e replicabili e poggiando solo su supposizioni e senso comune, non sufficienti a definire una condizione patologica, non giustifica interventi terapeutici specifici.
Come è possibile, per una condizione non ascrivibile a disturbo, sindrome o malattia riconosciuta dal mondo scientifico, indicare una terapia? Come è possibile che possa essere utilizzata a supporto di interventi in ambito giudiziario?
Il caso del bambino di Padova sottolinea che esiste una criticità quando i periti nei Tribunali, pur possedendo i titoli accademici richiesti, non tengono in considerazione le posizioni condivise dal mondo scientifico nel formulare ipotesi diagnostiche relative ai periziandi. Sarebbe quindi auspicabile istituire una modalità di valutazione e di aggiornamento, costante e monitorata, di tutti coloro che tramite il loro lavoro possono produrre gravi conseguenze sulla vita di cittadini, grandi e piccoli.
Fonte:La27ventisettesimaora